Una notizia che non dovrebbe essere una notizia: i compiti in classe sono atti pubblici e dovrebbe essere normale che i genitori possano visionare quelli degli studenti minorenni, per rendersi conto dei progressi, delle idee e delle aspirazioni dei propri figli. Invece, come racconta il Corriere della Sera, per poter aver accesso a un tema della figlia, oltretutto valutato con 10 e lode, una famiglia pugliese ha dovuto fare ricorso al TAR. In una scuola autonoma e democratica, il rapporto di fiducia tra famiglie e insegnanti sarebbe scontato e non ci sarebbe bisogno dell’intervento della magistratura.
Salve
perfettamente in accordo (personalmente faccio raccogliere tutti i compiti durante l’anno dagli studenti, sia a fini strettamente didattici (possibili revisioni), sia per permettere alla famiglia di verificare consegne, correzioni, ecc.)
Più dubbi ho sulla configurazione di una verifica/compito scolastica come atto pubblico. Sicuramente esiste in dottrina e giurisprudenza questa interpretazione, ma in dottrina esiste anche la considerazione che il rapporto docenti-(genitori di) discenti, anche nelle scuole statali, ha natura fondamentale di relazione professionale privata (questo discende dalla considerazione costituzionale che la Scuola è Statale, ma l’istruzione ovviamente No, nonchè dalla ovvia considerazione che i docenti – per quanto riguarda le funzioni strettamente didattiche – non dipendono dall’amministrazione), per cui i singoli momenti della relazione didattica, compresi i compiti, non dovrebbero essere costruiti come atto pubblico.
Per altro, anche se cambiasse la governance delle scuole statali come suggerite, la natura dell’atto non cambierebbe, e se quell’assurdo comportamento dei docenti pugliesi avrebbe la stessa configurazione giuridica.
Saluti
mario