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Valutare la scuola o non valutarla. Come? Perché? Chi?

In questi giorni si parla molto di valutazione della scuola. Sono usciti i dati relativi all’indagine OCSE PISA per l’anno 2012 e sono stati presentati al ministero dell’istruzione il 3 dicembre. I media hanno parlato molto dei dati relativi all’Italia. Alcuni si sono consolati del miglioramento registrato negli ultimi anni, altri si sono rammaricati del fatto che i dati ci collocano ancora al di sotto della media OCSE e molto al di sotto dei paesi più virtuosi, altri ancora hanno fatto notare la grande disparità di risultati fra le diverse aree del paese.

Tutto questo è molto positivo, finalmente non si parla solo di edifici fatiscenti, di occupazioni, di grembiulini, di maestre manesche, di costo dei libri di testo o di esami di maturità. Sono tutti argomenti importanti, in alcuni casi drammatici ma marginali rispetto al compito principale della scuola che è di educare insegnando.

Un’altra notizia, di cui si occupano di più gli addetti ai lavori riguarda l’INVALSI ( Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione). L’attuale dirigenza si è dimessa fra molte polemiche, alcune riguardano le metodologie adottate, altre il fatto stesso della valutazione delle scuole.

Anche il lavoro dell’INVALSI come quello di OCSE PISA ha avuto un grande merito quello di suscitare un dibattito riguardo alla funzione delle scuola e allo stato della scuola italiana. Può darsi benissimo che la scuola italiana vada bene così, bisogna però essere in grado di giustificare l’affermazione e di argomentarla di fronte a dati problematici rinunciando ad argomentazioni retoriche e fumose. Vedremo che cosa saprà proporre la nuova dirigenza. La cosa importante è che vengano raccolte tutte le  informazioni  utili perché gli utenti del servizio scolastico (genitori e semplici cittadini che lo pagano con le tasse) possano farsi un’idea precisa della sua qualità in ordine alle loro aspettative (delle famiglie e della società) e non solo della qualità del sistema nel suo complesso, ma anche della qualità nella mia regione, nel mio comune, nella mia scuola e nella classe che frequenta mio figlio, materia per materia. Toccherà poi a me genitore, a me comunità locale trarre le conclusioni.

Certamente le conclusioni dovranno poi avere un seguito operativo, se c’è qualcosa da cambiare bisognerà essere in grado di cambiarlo senza aspettare le amministrazioni comunali o provinciali o regionali o il ministero, che magari sono (e magari anche giustamente) in tutt’altre faccende affaccendati. Occorre che le scuole siano autonome, cioè che dispongano di tutto ciò che serve per farle funzionare, e che rispondano del loro operato ai genitori che sono i primi e i principali destinatari del loro servizio. E’ proprio quello che prevede la nostra proposta.

La valutazione ci vuole, nemmeno la massaia al mercato compra ad occhi chiusi ma guarda qualità e prezzo della merce, valuta. Ma la valutazione non è fine a sé stessa, serve per confermare la validità del servizio o per agire per modificarlo nel caso fosse in qualche modo carente. Valutazione, cioè buona informazione, e autonomia sono il binomio inscindibile per ottnere una scuola di qualità.

Molto male fanno quelle organizzazioni di insegnanti e di dipendenti della scuola che rifiutano la valutazione; condannano la categoria alla disistima sociale e ad una bassa remunerazione.

Redazione
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4 commenti

  1. Avatar

    L’autore è Andrea Ichino?

    • Redazione

      No. L’articolo è della redazione del sito. La nostra posizione concorda con quella di Ichino e Tabellini su molti punti ma ne differisce su altri in modo che la “filosofia” delle due proposte è molto diversa. Chi è interessato ad approfondire può leggere sul blog l’articolo: “A proposito del saggio “Liberiamo la scuola” di Andrea Ichino e Guido Tabellini”.

  2. Avatar

    e si possono conoscere i nominativi della redazione?

    • Avatar

      Al momento, preferiamo che tutto ciò che viene pubblicato nel sito sia attribuito al Movimento Cambiamo La Scuola nel suo complesso. Vogliamo evitare un’eccessiva “personalizzazione” del movimento perché riteniamo le nostre idee molto più interessanti delle nostre facce e dei nostri nomi.

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