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Studentessa modello si suicida. Chi insegna a vivere?

rosita2 I fatti: Rosita, una ragazza di sedici anni si suicida buttandosi dal tetto del suo liceo, la ragazza va molto bene a scuola e ha degli ottimi voti in tutte le materie. Lascia dei documenti in cui accusa i genitori di non lasciarla libera, i genitori vengono iscritti nella lista degli indagati dalla magistratura.

Vorremmo commentare questi fatti dal punto di vista educativo. È chiaro che questo tragico episodio, insieme ad altri dello stesso tipo, è solo la punta di un immenso iceberg di disagio giovanile e di incapacità educativa dei genitori e della scuola.

Gli adolescenti devono crescere per diventare persone adulte. La loro principale esigenza è di imparare a stare al mondo. È un’esigenza insopprimibile che cerca con molta energia di esprimersi esplorando le strade che si presentano (nel caso di Rosita anche un anno di scuola da passare in Cina).

È compito degli adulti (genitori e insegnanti) prospettare percorsi di crescita e accompagnare gli adolescenti lungo la strada per sostenerli.

In questo caso cosa abbiamo, stando ai fatti e alle testimonianze riportate dalla stampa? Dei genitori poco socievoli e probabilmente dominati più dalla paura della realtà che dalla sua attrattiva e quindi preoccupati più di difendere i figli dal “mondo” che di accompagnarli a conoscerlo e a viverlo. Abbiamo poi una scuola che si accontenta che gli studenti acquisiscano delle conoscenze e maturino delle competenze, anche se tutto questo non sfiora nemmeno la loro persona nelle sue esigenze fondamentali. In sintesi una situazione di grave deprivazione educativa.

Questo tragico evento sparirà prestissimo dalla cronaca e anche i commentatori di vario tipo rivolgeranno la loro attenzione ad altri fatti, ma bisogna pure che qualcuno raccolga responsabilmente il grido di questa ragazza. Vogliamo tentarci.

Noi siamo convinti che le analisi e le prediche di non servano a nulla se non si restituisce alla scuola il suo compito, che non può essere solo di istruzione, ma anche di educazione, e ai genitori pienamente la loro responsabilità educativa così come saggiamente riconosce la Costituzione che all’art. 30 recita: “è dovere e diritto dei genitori, mantenere, istruire ed educare i figli…”.

Crediamo che una scuola autonoma, governata da un consiglio eletto dai genitori, ma di cui i genitori non fanno parte, sarebbe più adeguata a fornire ai ragazzi non solo un’istruzione, ma anche gli strumenti per vivere. I genitori, infatti, dovendo eleggere dei rappresentanti, sarebbero incoraggiati a confrontarsi con gli altri e ad assumersi la responsabilità di educare i figli. In questo modo il dibattito educativo uscirebbe dai circoli ristretti degli addetti ai lavori e contribuirebbe a qualificare la capacità educativa dei genitori. Investiti della responsabilità di dare, col loro voto, un indirizzo alla scuola, scegliendo fra diverse proposte, diventeranno consapevoli del loro compito educativo e più capaci di esercitarlo anche all’interno dei rapporti famigliari.

E gli insegnanti? Attualmente un consiglio di classe è formato dalla giustapposizione di personalità e competenze disparate messe insieme a caso con criteri che hanno nulla a che fare con la preoccupazione educativa. Questo non è un giudizio sugli insegnanti ma su chi ha organizzato il loro modo di lavorare. Un modo di lavorare che sembra pensato apposta per chi non ha altra ambizione che adeguarsi ad un tran tran burocratico. Bisogna che le scuole possano scegliere i propri insegnanti perché gli insegnanti possano scegliere le scuole dove dispiegare al meglio le loro competenze disciplinari e didattiche ed esercitare la loro indispensabile responsabilità educativa. Infatti, l’idea che la scuola possa limitarsi a istruire è illusoria: un adulto che si rapporta con un gruppo di bambini o di ragazzi, consapevolmente o no, trasmette loro anche un insieme di valori e di modelli di comportamento.

Addio Rosita, speriamo che molti: politici, sindacalisti, insegnanti e genitori rispondano al tuo grido.rosita2

Redazione
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Cambiamo la scuola con l'autonomia democratica

16 commenti

  1. Avatar

    “Attualmente un consiglio di classe è formato dalla giustapposizione di personalità e competenze disparate messe insieme a caso con criteri che hanno nulla a che fare con la preoccupazione educativa”

    Descrizione veritiera, ma non per questo se ne può facilmente trarre una ricetta per migliorare la situazione. Le esperienze di consigli cooptati secondo la volontà di un gestore scolastico (nelle scuole private), sono spesso di gruppi omertosi, dove è difficile esprimere il dissenso, pena perdita del posto di lavoro. Personalmente sono favorevole a introdurre forme di ricusazione (dei docenti da parte di chi esercita la potestà/responsabilità genitoriale), ma nel triste caso in oggetto neanche ciò avrebbe aiutato. In casi del genere è sempre difficile commentare, correndo il rischio di strumentalizzare casi complessi oltre le nostre capacità di comprensione per portare malamente acqua al nostro mulino.
    m.

  2. Redazione

    Un episodio di questi tipo ti interroga oppure no? Come educatore, cosa pensi che si possa fare, al di là del singolo caso, per la preoccupante frequenza dei suicidi di giovanissimi?

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      Tra l’essere interrogato, e citarlo a sostegno di una proposta politica (la mia o la vostra) ne corre.

      Se proprio devo commentare, direi che – per quanto riguarda la componente scolastica (che credo in questo caso del tutto secondaria) – sulla base della mia esperienza diretta, esiste nella scuola italiana un problema di induzione a e mancata valutazioen critica di – da parte di una parte dei colleghi – l’eccessiva diligenza di un parte della popolazione delle ragazze, specialmente nei licei ‘quotati’, induzione a standard di comportamento da ‘perfettine’ che – nei casi di contesti familiari con gravi difficoltà a gestire/accettare il passaggio all’età adulta delle figlie – può rafforzare situazioni di tensione psicologica tali da esplodere in simili tragedie. Ma la responsabilità della scuola è comunque marginale, e la presenza di una sensibilità di aiuto diffusa, preferibilmente non formalizzata, non saprei dire quanto dipenda dal modello gestionale dell’istituzione.

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    Ho sempre sostenuto che, se appena madre avessi avuto le competenze che ho potuto acquisire nel tempo e molto faticosamente come educatrice, molti errori non li avrei commessi, preservando mia figlia da alcuni dolori di cui mi sono sentita direttamente responsabile. La vita sembra così fortemente connotata dall’ansia e dalla competitività selvaggia in vista della meta cui giungere per primi o in qualità di migliori da dimenticare, a volte, che bisogna arrivarci in vita e integri per poter godere del successo con soddisfazione. Nella quotidianità dell’impegno lavorativo ho imparato che le risorse cognitive sono tanto più preziose quanto più favoriscono e si integrano con gli elementi di crescita emotiva e sociale di bambini e ragazzi. Tuttavia, questo problema sembra esclusivamente inerente (nella migliore delle ipotesi)alle istituzioni che si occupano anche di accudimento, come le scuole dell’infanzia; mentre è quasi totalmente assente in quelle che si occupano di istruzione. Ravviso quindi la necessità che tanto la scuola quanto la sua utenza, si assumano la responsabilità di conoscere meglio la dimensione psicologica dei propri studenti e dei propri figli. Prospettare un futuro migliore significa prima di tutto consentire ai nostri ragazzi di poter contribuire attivamente a tracciare un percorso di vita più adeguato alle loro necessità, ai loro tempi di crescita e alle modalità di cui intendono servirsi.
    Ma questo presuppone un altro grande sforzo da parte degli adulti: quello di considerare bambini e ragazzi capaci di riflettere ed esprimere giudizi di valore autonomamente.
    Nel corso di quest’anno di lavoro con bambini dai tre ai sei anni, ho adottato una metodologia che favorisse l’educazione al pensiero, alla stregua di tutte le altre attività educative che vengono solitamente promosse nelle scuole dell’infanzia.
    “Solo così i bambini riescono a diventare via via consapevoli di una possibile negoziazione o revisione dei significati prodotti; a partire dal contatto con una variegata e mutevole interpretazione di una medesima realtà. […]Confronto che può determinare una nuova chiave di lettura della realtà anche personale e la fissazione o la trasformazione di una visione globale del mondo e dell’esistenza. […] E questo sarà possibile soltanto guardando all’educazione secondo un paradigma che si discosti da quello standard: il paradigma riflessivo consente di ottenere dei traguardi di sviluppo inerenti al pensiero che, partendo dall’oggetto propriamente cognitivo, hanno profonde ricadute positive anche sull’aspetto sociale, relazionale e psicologico. Nello scontro di solito i bambini apprendono che ha la meglio il più forte, soprattutto quando il gruppo si divide a sostegno di un bambino o di un altro, alimentando sentimenti di rabbia, da una parte, e desiderio di prevaricazione, dall’altra: si crea così la condizione ottimale per far attecchire uno tra i peggiori mali che la scuola ha contribuito a produrre e che, tuttavia, non riesce a contrastare, il bullismo. Essere abituati a riconoscere la diversità interpretativa che un evento, un oggetto, un concetto, un’attività può suscitare; essere disposti a tollerare la frustrazione di poter cadere in errore e che il confronto con gli altri è utile a farcelo notare; essere quindi disposti a cambiare l’orizzonte con cui si guarda alle cose rappresentano alcune delle fondamentali abilità che si possono apprendere dalla più tenera età e che sfoceranno nella competenza del saper stare al mondo e saper vivere con gli altri.” Tratto dalla relazione annuale finale di Agata Calise. Prima di pensare a cambiare chi governa la scuola, dovremmo pensare che anche nelle attuali condizioni la scuola può offrire molto più di quanto non riesca a fare(o voglia?)e che la responsabilità di un insuccesso o, peggio, di una tragedia come questa è in parte anche nostra.
    Agata Calise

    • Redazione

      Grazie Agata per questo bellissimo e articolato commento. Siamo felici che ci siano insegnanti come te, che svolgono un compito educativo preziosissimo. Nella scuola dell\’infanzia, ci sono meno ostacoli, perché è chiaro a tutti che il compito degli insegnanti è fondamentalmente educativo e che lo sviluppo delle abilità cognitive non si può scindere dalla crescita della personalità. Nelle scuole medie, che tra l\’altro si occupano di ragazzi in una fase delicatissima della crescita, è molto più difficile, perché ci si trova a interagire con un numero molto maggiore di colleghi, con posizioni a volte incompatibili. Per ogni insegnante consapevole di quanto sia fondamentale la dimensione psicologica, ce ne sono tre che dicono:”siamo qui per trasmettere conoscenze e/o competenza e basta.” o “sono pagato per fare l’insegnante, non l’assistente sociale o lo psicologo”. Per questo noi pensiamo che un cambiamento del sistema potrebbe liberare molte forze positive che restano al momento imprigionate dalla burocrazia.

    • Redazione

      Grazie Agata per questo bellissimo e articolato commento. Siamo felici che ci siano insegnanti come te, che svolgono un compito educativo preziosissimo. Nella scuola dell\’infanzia, ci sono meno ostacoli, perché è chiaro a tutti che il compito degli insegnanti è fondamentalmente educativo e che lo sviluppo delle abilità cognitive non si può scindere dalla crescita della personalità. Nelle scuole medie, che tra l\’altro si occupano di ragazzi in una fase delicatissima della crescita, è molto più difficile, perché ci si trova a interagire con un numero molto maggiore di colleghi, con posizioni a volte incompatibili. Per ogni insegnante consapevole di quanto sia fondamentale la dimensione psicologica, ce ne sono tre che dicono:”siamo qui per trasmettere conoscenze e/o competenze e basta.” o “sono pagato per fare l’insegnante, non l’assistente sociale o lo psicologo”. Per questo noi pensiamo che un cambiamento del sistema potrebbe liberare molte forze positive che restano al momento imprigionate dalla burocrazia.

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        Buongiorno Redazione,
        ringrazio voi per la risposta (anche se velatamente sarcastica).
        Credo che abbiamo centrato un punto, quello che in effetti mi fa ribadire che prima di cambiare chi governa la scuola, dovrebbe cambiare la modalità di intendere il ruolo della scuola da parte degli operatori come da parte dell’utenza. Mi spiego. Quando si pensa alla scuola dell’infanzia e ancor prima ai bambini che la popolano, si crede (oggi mi permetto di dire erroneamente)che la crescita e la formazione delle future personalità adulte avvenga in modo del tutto naturale: questo non è più vero neppure rispetto alla crescita fisica e fisiologica, dato il modo crescente in cui i disagi emotivi e psico-sociali si riversano sullo stato di salute dei nostri ragazzi. Credo che bisogna cominciare dal considerare un essere in formazione come qualcosa di estremamente complesso e fortemente legato ad una responsabilità che non può essere disattesa dagli insegnanti come dai genitori. In effetti io non ho esperienza della scuola secondaria e non posso pronunciarmi, ma da quello che riportate nel commento mi sento di sottolineare che è doveroso compito di ciascun insegnante sapere che la scuola non offre solo informazioni e addestramento, ma, attraverso il patto di corresponsabilità e lo statuto degli studenti e delle studentesse, si impegna ad offrire e consolidare le basi educative verso le quali la scuola comincia a muovere i primi passi proprio a partire da quella per l’infanzia. Quindi condivido pienamente la necessità di un cambiamento nelle scuole, fatta di maggiore informazione per i docenti che si incamminano in questo percorso, di maggiori controlli che garantiscano legittimità dei metodi ed efficacia rispetto ai risultati e, non ultimo, maggiore sensibilità e serietà con cui si guarda alla propria professione. Tuttavia trovo piuttosto pericoloso, nell’interesse dei ragazzi, scaricare la totale responsabilità della loro formazione ai soli genitori. Se infatti il percorso di crescita non si può naturalizzare, ma va costruito faticosamente giorno dopo giorno, anche rischiando di rimettere in discussione tutto ciò che non dà i frutti sperati, questo vale soprattutto per i genitori. Ma, a vostro parere, quanti saranno i genitori che non si affidino alla presunzione di conoscere naturalmente ciò che “è meglio” per i loro figli? Quando sostenete che l’autonomia della scuola va sancita da una scelta “consapevole” dei genitori (rispetto ai docenti, alle finalità educative, alle metodologie didattiche e ai contenuti disciplinari) state parlando di quegli stessi genitori che devono barcamenarsi tra casa e lavoro, non sapendo spesso dove collocare i loro figli? O di quelli che i figli sono disposti a condividerli con gli innumerevoli impegni extrascolastici (lingue, palestra, musica, canto, ballo, recitazione, ecc.)a fronte di un innalzamento della loro personale autostima? Davvero immaginate che una scuola che parta da tali presupposti possa non fare peggio di quella pubblica?
        Vi ringrazio per l’attenzione
        Agata Calise

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          Cara Agata,
          scrivo come interessato ma non convinto della proposta di CambiamoLaScuola.
          La mia critica alle tue obiezioni è, come dire, di metodo. Da una parte le tue sono osservazioni sulle dinamiche relazionali medie presenti nelle famiglie italiane. Ammettiamo anche che siano osservazioni che colgono gli aspetti salienti di quelli dinamiche. Esistono poi le scuole come istituzioni (pubbliche o provate), il cui funzionamento rimanda – più o meno esplicitamente – a una configurazione di diritti e doveri delle persone coinvolte (famiglie, docenti, gestri), sia nel senso della configurazione prevista (in parte) dall’ordinamento italiano (Costituzione, norme di codice civile, diritto di famiglia) e sia nel senso di quale possibile configurazione sarebbe la più giustificata (moralmente, politicamente, filosoficamente, ecc.). I due piani sono ben diversi. Io credo che se cerchi di riflettere su quale configurazione di diriti/doveri potrebbe essere la più opportuna, ti renderai velocemente conto che devi prendere in considerazione tematiche molto più generali di quelle relazionali che citi: cosa sia una società libera, questioni di separazione Stato/Chiese, ambiti riservatezza personale e familiare, limiti delle potestà pubbliche. Per fare un esempio banale, se ammetti che i genitori di una particolare fede religiosa debbano essere rispettati nella loro contrarietà in ambiti assai delicate quali le terapie mediche per i figli (trasfusioni di sangue, vaccini), allora sembra difficile non prevedere un sistema scolastico che debba rispettare altre idiosincrasie. L’art. 30 Cost., a cui si richiama il comitato, ha una sua profondità che va oltre le questioni di migliore gestione della scuola. A continuare.

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            Ciao Mario,
            anch’io scrivo come interessata ad eventuali proposte di cambiamento, ma non credo che quella di “Cambiamo la Scuola” parta da presupposti che possano trovare convalida nel tempo.
            In realtà, come tu hai sottolineato, io faccio della scuola una questione legata principalmente all’educazione, e questa non può che muoversi sul sottile filo delle relazioni. Come dire, credo che se ci si intendesse su quale possa essere il ruolo della scuola nella società e il compito degli insegnanti che operano al suo interno avremmo fatto un grande passo avanti e tutto il resto (amministrazione e burocrazia) dovrebbe potersi configurare su questo concetto. L’art.30 è sicuramente profondo e interessante ma ce ne sono altri che, a mio parere, lo sono altrettanto. Mi riferisco agli artt. 34 e 3, ad esempio, ma soprattutto vorrei soffermarmi sull’art.2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” La scuola, come ormai si è capito da tempo, non rappresenta solo un luogo di apprendimento ma è, per bambini e ragazzi, “luogo di vita”, luogo dove si esprime la loro personalità in continua evoluzione. I genitori italiani sono certamente tenuti a dare un orientamento ai propri figli, fondato sulle loro personali credenze, sui loro valori, ecc. Ma la scuola non ha questo compito! E nessun insegnante dovrebbe avere il diritto di veicolare attraverso l’insegnamento “il proprio o altrui credo religioso, politico, filosofico”. Al contrario, dovrebbe sforzarsi di essere neutrale per mettersi nella condizione, in quanto funzionario dello Stato, di dar seguito al citato art.2. La scuola che “accoglie”, al di là degli imprescindibili contenuti disciplinari, dovrebbe essere soprattutto luogo di confronto tra pari, ciascuno con il proprio bagaglio ed il proprio vissuto (e non intendo i fugaci confronti consumati nei corridoi durante la pausa merenda), non esclusivamente tra allievo e docente. Ecco perché ribadisco la necessità di maggiori controlli sulla legittimità dei metodi di insegnamento. La libertà di insegnamento conferita ai docenti dovrebbe essere intesa, infatti, solo in funzione di una maggiore adeguatezza dei contenuti, perché siano più fruibili dai ragazzi. Immagino che tu sia un insegnante e magari di scuola secondaria, quindi perché non cominciare dai ragazzi anziché dai loro genitori? Credo che nessuno sappia meglio di loro che cosa si aspettano di trovare in una scuola e perché spesso si lasciano sopraffare dai problemi che, evidentemente, nessuno è disposto ad ascoltare. Se davvero desideriamo che i nostri figli siano persone consapevoli e responsabili dovremmo dare loro la possibilità di crescere responsabilmente, anche se questo volesse dire accettare che si allontanino dalla strada che avevamo tracciato per loro. Mi farebbe piacere sapere come la pensi.

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              Cara Agata,
              grazie della risposta. Si sono anche insegnante, oltre che marito e figlio di insegnanti e padre di studente.

              Il tuo tipo di argomentazione mi lascia perplesso, perchè lo vedo motivato e con condivisibili intenzioni, ma non sempre analiticamente stringente, e in un paio di passaggi mi sembra che dici A e poi invece un B che implica di fatto non(A).

              Io distinguo educazione e istruzione. Ovviamente sonon ben consapevole che si tratta di una distinzione non ovvia, e non di banale applicazione nei casi concreti, ma credo che sia importante tenerla presente. Per educazione intendo ambiti – che personalmente credo di possibile oggetto di discussion e e su cui cerco di indirizzare mio figlio – quali tutta la sfera religiosa (o antireligiosa), quella degli orientamenti sentimentali, quella della valutazione caratteriale e moral-caratteriale (invidia, egoismo, irascibilità, permalosità, ecc.), gli orientamenti politico-sociali, quelli dei costumi personali (bere, fumare, modalità di cura, sana alimentazione).

              Per istruzione intendo la sfera della cognizione matematica, della correttezza grammaticale-espressiva, della metodologie di osservazione e studio della natura, della comprensione del patrimonio culturale umano (imparare a leggere i libri difficili). Com vedi la distinzione è possibile e di fatto la fanno tutti gli insegnanti ogni giorno.
              Semmai, quello che si può discutere sono le regole deontologiche del buon docente, anche in ambito istruttivo.

              Ti seguo perfettamente quando dici che la scuola deve essere ‘neutrale’, anche se non sono sicuro se capiamo questa neutralità nello stesso modo (io la intendo anche nel senso che è neutrale tra uno studente razzista e uno multiculturale).

              Sulla libertà di insegnamento, non capisco cosa intendi con intesa in “funzione di una maggiore adeguatezza dei contenuti”? Ovviamente, la libertà di insegnamento non è alla pari di quella di espressione del proprio pensiero (come cittadino liberale io tutelo la libertà di espressione del negazionista su i crimini nazisti, ma non sono sicuro se lo tutelerei come insegnante di storia che decide di saltare il capitolo sulla germania nazista come calunnioso, e però la cosa non è ovvia).

              Quando scrivi “perché non cominciare dai ragazzi anziché dai loro genitori”, non sono sicuro di capire, ma direi che sia anticostituzionale e contrario alla mia concenzione della giusta difesa dei privilegi della potestà familiare che un docente possa intervenire nei confronti di un minorenne senza illustrare motivi, forme, contenuti del suo intervento ai genitori e senza averne un permesso revocabile.

              “Se davvero desideriamo che i nostri figli siano persone consapevoli e responsabili dovremmo dare loro la possibilità di crescere responsabilmente, anche se questo volesse dire accettare che si allontanino dalla strada che avevamo tracciato per loro.”
              Ok, ma cosa c’entra con gli ambiti e compiti delle Scuole?

              • Avatar

                Ciao Mario
                Purtroppo, nonostante io mi sforzi di essere chiara, è difficile riuscire a comunicare sul blog evitando equivoci e fraintendimenti reciproci. Mi rendo conto che assumiamo l’interrogativo di partenza (quello dell’articolo) secondo prospettive diverse. Il mio pensiero è certamente molto debole dal punto di vista politico e amministrativo. E non ha la pretesa di esaurire neppure l’aspetto educativo sul quale tuttavia mi sono soffermata. Istruzione ed educazione sono sicuramente separabili e di fatto nelle scuole si istruisce, non si educa. Il problema che mette in luce l’articolo è che neppure le famiglie sembrano più in grado di educare i propri figli. Imparare a vivere è strettamente correlato all’istruzione e all’educazione che riceviamo nonché alle modalità con cui ci vengono offerti i contenuti disciplinari ( prevalentemente a scuola) o i contenuti valoriali
                (prevalentemente a casa). In nessuno dei due casi comunque l’apprendimento dovrebbe avvenire secondo la modalità “ordine-esecuzione”. La libertà di insegnamento io la vedo correlata al modo in cui un insegnante rende disponibile ai ragazzi un contenuto e non alla possibilità di farsi “sconti” sul programma di studio. Quello che a me sembra (che tentavo di spiegare)è che insegnanti e genitori stiano ingaggiando una battaglia su chi ha diritto a detenere il maggior controllo sulla vita dei ragazzi.- tu dirai: sono i genitori che hanno questo diritto costituzionale- spesso questo diritto, però, trasforma la famiglia in una ideocrazia. E certe soluzioni al problema sembrano fondate sullo stesso ricatto morale che spesso divide i genitori sulla questione figli. Non è che nella scuola pubblica gli insegnanti sono autorizzati a fare “a modo loro”, senza riserve e senza legittimazione e nelle scuole private invece a fare “a modo dei genitori”, pena il licenziamento. Il punto, come dici tu, è una questione di deontologia che va assolutamente tenuta sotto controllo dal datore di lavoro in un caso e nell’altro. Ma è anche una questione di idea di scuola che secondo me non deve servire né ai docenti dello Stato, né ai genitori, ma il cui unico scopo dovrebbe essere la formazione dei ragazzi perché possano diventare cittadini più consapevoli e responsabili di quanti non se ne vedano oggi. E questo per me significa essere capaci nel tempo di ricondurre le proprie opinioni, credenze, valori al condizionamento operato anche dalla famiglia, che spesso genera nei ragazzi frustrazione e disappunto più che orientamento.
                Le scienze umane hanno fatto enormi progressi sullo studio della persona, del suo modo di apprendere, crescere e costruire relazioni con il mondo circostante e offrono supporto scientifico ad una nuova configurazione della scuola, intesa come una comunità di studenti alla ricerca di conoscenze e di valori condivisibili, al di là delle differenze culturali e ideologiche. Si tratta di mettere in atto un’esperienza di confronto dialogico tra pari attraverso cui la consapevolezza e la condivisione passano per la necessaria spiegazione delle premesse epistemiche di ciascuno. E’ così che si dovrebbe attivare il pensiero critico. E -vengo all’ultimo punto- questo è uno dei modi in cui la scuola non si sostituisce alla famiglia per educare, ma si offre come spazio imprescindibile di conoscenze e insieme di riflessioni che concorrono alla formazione autonoma di personalità. In quest’ottica di sviluppo un ragazzo può anche avvertire la necessità di discostarsi dal pensiero di origine (quello del focolare domestico) per abbracciare altre concezioni, e non sarà “colpa” della scuola. Famiglia e scuola, come l’educazione e l’istruzione
                possono essere considerate separatamente ma i punti di intersezione tra le due sono tanti e tali che bisogna auspicare un accordo di collaborazione reciproca nel bene dei ragazzi. Questo per me è realizzabile anche nella scuola statale.

                Le scuole devono rendere pubblica l’offerta formativa, sulla base della quale le famiglie possono operare la scelta più opportuna per i propri figli.
                Condivido pienamente il disappunto per gli organi collegiali che in effetti costituiscono uno scudo inossidabile verso qualunque osservazione, obiezione, richiesta di chiarimento o di ravvedimento dei genitori (esperienza personale di mamma).

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                  “Quello che a me sembra è che insegnanti e genitori [ingaggiano] una battaglia su chi ha diritto a detenere il maggior controllo sulla vita dei ragazzi.”

                  Si, questa la tua esperienza? Io di solito come docente cerco sempre di ingaggiare una battaglia con l’amministrazione, mai con le famiglie.

                  Devo dire che io ho una immagine del mio ruolo di docente come quella del pediatra, competente a cercare di risolvere dei problemi, ma l’ultima parola se curare o meno il pargolo è della famiglia.

                  Per il resto, d’accordo al 95%
                  siccome lo spazio si assotiglia, su questo passo e chiudo.
                  grazie scambio, alla prossima occasione

                  • Avatar

                    Grazie a te Mario e alla redazione per aver messo a disposizione questo spazio. Peccato sia interesse di pochi intervenire sulla questione e su questo “Cambiamo la Scuola” ha proprio fatto centro!

  4. Avatar

    Quante volte ci si trova davanti ad un muro, con la famiglia dei nostri ragazzi? quante volte si ricevono ingiurie, quando non minacce, nel tentativo di sviscerare situazioni a nostro avviso problematiche? E per ovvi motivi di privacy mi fermo.

    • Redazione

      Purtroppo, le famiglie, specie le più problematiche, non si fidano degli insegnanti scelti dal Provveditorato, con criteri che al genitore medio risultano alquanto misteriosi. Forse, degli insegnanti scelti da un consiglio eletto dai genitori avrebbero più probabilità di farsi ascoltare anche se, ovviamente, ogni singolo caso è diverso.

  5. Redazione

    La differenza tra la tua posizione e la nostra è proprio questa: noi pensiamo che un assetto istituzionale più efficiente e democratico sarebbe di enorme aiuto nell’attività educativa delle famiglie e degli insegnanti. A questo punto, come dicono gli anglosassoni “We have to agree to disagree”

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