I ragazzi di terza media e i loro genitori sono di fronte alla scelta delle scuole superiori. Negli anni precedenti, per la materna, l’elementare e la media si trattava solo di trovare, fra scuole formalmente uguali, la migliore. Per le superiori il discorso cambia di molto: un liceo, un istituto tecnico o un istituto professionale? E poi: quale liceo, quale istituto tecnico o quale indirizzo professionale?
Sui giornali si sprecano gli articoli pieni di suggerimenti, dato che tanti ragazzi che non completano la scuola cui si iscrivono oppure la frequentano con estrema difficoltà, come documentano le bocciature e gli esami a settembre.
Non viene quasi mai denunciato il vero problema. Un ragazzo di quattordici anni, in piena evoluzione, non può impegnarsi seriamente in un percorso di studi che non conosce, se non per stereotipi e sentito dire, e che sarà la sua principale occupazione per i prossimi cinque anni, senza nessuna flessibilità.
Per i ragazzi di oggi è impossibile accettare volentieri e impegnando quasi tutte le loro energie una proposta di lavoro fissa e immutabile per tutti gli anni della loro adolescenza, dai quattordici ai diciannove anni. Gli interessi cambiano, si scopre di non possedere delle capacità che si riteneva di avere e se ne scoprono altre. In una cultura in cui tutto viene messo in discussione si sente l’esigenza di essere consapevoli del valore del lavoro sempre impegnativo e spesso faticoso che la scuola richiede.
Sostanzialmente, la scuola non è cambiata da ottant’anni a questa parte mentre è cambiata radicalmente la società. La scuola media superiore garantiva a chi la frequentava migliori condizioni di vita dal punto di vista sociale ed economico, ora non più. I ragazzi erano abituati ad ubbidire ai genitori e a non mettere in discussione l’autorità della scuola e degli insegnanti, ora non più. I ragazzi negli anni Cinquanta e Sessanta andavano a scuola in giacca e cravatta mentre le ragazze portavano il grembiule nero, ora non più.
Per queste ragioni, non si tratta di scegliere la scuola giusta ma di poter adattare la scuola ai propri interessi e alle proprie capacità man mano che questi si mostrano. È perciò la scuola che deve cambiare struttura. Non sono i ragazzi che devono adattarsi alla scuola ma la scuola che deve adattarsi ai ragazzi.
A questa conclusione è giunta la maggior parte degli esperti, ma di questo non sono avvertiti né i politici (in tutt’altre faccende affaccendati), né i genitori, che, da lungo tempo espropriati dalla scuola di Stato dei loro diritti educativi, sono troppo spesso incapaci di intendere e di volere.
Di fronte a questa situazione si potrebbe sperare in un intervento legislativo che riguardi tutto il sistema scolastico italiano. L’esperienza consiglia di non farlo. Il Parlamento è in grado di adottare una “riforma” della scuola solo quando si produce una congiunzione di interessi partitici quasi sempre abbastanza casuale e in genere questa “riforma” ha poco a che fare con i reali bisogni degli studenti, dei genitori e della società.
Quello che bisogna chiedere al potere politico è la possibilità di riformare dal basso i singoli istituti scolastici, che devono avere una reale autonomia nell’organizzazione della didattica e della vita della scuola, sotto il controllo e la capacità di iniziativa dei diretti interessati, all’interno di un quadro di riferimento stabilito dallo Stato. Come? Per vedere come questo può concretamente avvenire nella pratica vi invitiamo a prendere visione della nostra proposta.