Nell’articolo sull’emergenza educativa abbiamo affermato che essa ha la sua origine nell’insufficenza educativa di genitori ed insegnanti.
Vorrei soffermarmi sui genitori. Come mai tante volte i genitori sono in difficoltà nel rapporto con i figli?
La causa principale sta nel fatto che i genitori oramai da più di cento anni sono stati espulsi dalla scuola. Quello che avviene a scuola da più di cento anni cioè da almeno quattro generazioni non è affare loro. I loro figli a scuola non sono più figli loro ma figli dello Stato. Una scuola che è stata gestita dapprima dalle oligarchie post-risorgimentali, poi dal regime fascista mentre dall’ultimo dopoguerra è stata gestita dalla classe dirigente della Repubblica, in bilico fra residui di fascismo, clericalismo e comunismo. Dal sessantotto in poi ha prevalso l’influenza dell’individualismo radicale.
Tutto questo i genitori l’hanno subito. Anche la chiamata alla partecipazione attraverso la gestione sociale della scuola (decreti delegati anno 1974, tuttora in vigore), dopo qualche anno di entusiasmo, non ha avuto alcun esito consistente. Per convincersene basti notare la totale assenza delle associazioni dei genitori dall’attuale dibattito sulla scuola.
Questa esclusione poteva avere poche conseguenze molto tempo fa, quando l’Italia era una nazione con un’economia prevalentemente agricola con una popolazione che viveva in villaggi, in piccoli centri o in città in cui la dimensione del quartiere era ancora prevalente ( la via Gluck di Celentano). Inoltre fino a pochi decenni fa le famiglie si riconoscevano nelle parrocchie con le loro iniziative educative del catechismo e degli oratori, la cui impostazione pedagogica era largamente condivisa e partecipata dalla popolazione.
Un altro fatto che occorre prendere in considerazione è l’incidenza della scuola sulla vita delle persone. La scuola di massa, con una frequenza fino alla maggiore età, è un fatto recente. Fino ai primi anni del secondo dopoguerra in genere si frequentava la scuola al massimo fino a quattordici anni e, dopo le elementari, “l’avviamento al lavoro”, una scuola professionale in cui si apprendeva un mestiere. Si trattava quindi di imparare a leggere, a scrivere e a far di conto dai sei ai dieci anni e un mestiere dagli undici ai quattordici.
Il limitato numero di anni passato a scuola, il fatto che la formazione fosse di base e il contesto comunitario, caratterizzato da valori largamente condivisi, facevano si che la separazione dei genitori dalla scuola non fosse completa e avesse conseguenze limitate sulle capacità educative dei genitori.
Qual è invece la situazione degli ultimi decenni? La maggior parte delle persone vive in un ambiente urbano e anche chi vive in un villaggio o in una cittadina è come se vivesse in un ambiente urbano, a causa delle possibilità di spostamento, dell’organizzazione del lavoro e dell’invadenza dei media.
A proposito della possibilità dei genitori di esercitare il loro compito educativo occorre notare altri due fatti. La diffusione del lavoro femminile in ambiti lontani dalla casa e la nascita negli anni sessanta del mercato giovanile ( soprattutto nell’abbigliamento e nella musica). Oggi sono abbastanza frequenti le famiglie che si riuniscono alla fine del pomeriggio, dopo una giornata di lavoro, con poco tempo e poca energia per impegnarsi in un lavoro educativo efficace. I figli poi sono presi fin dalla fanciullezza dal mondo dei consumi pensato apposta per loro. Questa fa sì che vivano in un mondo a parte in cui i genitori fanno fatica ad entrare.
Naturalmente i cambiamenti citati ( l’aumento della scolarità, il lavoro femminile, la maggiore disponibilità di beni per i giovani, ecc.) non sono di per sé negativi. E’ la separatezza della scuola dai genitori che indebolisce grandemente la loro possibilità di esercitare un’azione educativa adeguata.